Nell’inedita routine d’isolamento che stiamo vivendo è aumentata l’attenzione per il cibo, il tempo giornaliero e i pensieri dedicati agli approvvigionamenti, la preparazione e il consumo delle pietanze. Riaffiora la nostra natura terrestre: nel silenzio delle altre attività riscopriamo l’importanza del settore primario, l’agricoltura, l’arte e la fatica quotidiana di trarre dalla terra gli alimenti, la base necessaria, quotidiana della vita biologica. Pure in mezzo al ciclone della pandemia l’agricoltura d’Italia e della Campania non si è fermata, gli agricoltori hanno garantito quel servizio essenziale che è la sicurezza alimentare. Hanno continuato a rifornire gli scaffali dei supermercati, come i negozi di vicinato, un’altra preziosa riscoperta di questi giorni diversi.
Capita che proprio in tempo di distanziamento si finisca per riscoprire l’importanza delle relazioni, delle dipendenze e connessioni, di quel qualcuno che produce il cibo anche per noi. L’Italia ha voltato in fretta le spalle al suo passato. Ancora alla metà del ‘900 nel nostro Paese più di metà degli occupati lavorava in agricoltura: ora basta meno di un milione di agricoltori per produrre cibo per i restanti cinquantanove. Una comunità minoritaria, nemmeno più tanto influente sulla politica e l’opinione pubblica, anzi. Nella crisi della terra dei fuochi (sembra un secolo fa) l’abbiamo screditata e coperta di fango, salvo scoprire che non era vero niente, i prodotti agricoli della Campania continuano a essere assolutamente sani e sicuri.
Segnaliamo per i nostri lettori l’articolo di Antonio di Gennaro, pubblicato da Repubblica Napoli, il 10 aprile 2020.